Apocalisse, un concetto, una premonizione, un'idea. I media, la letteratura, il cinema, i videogiochi, in qualsiasi campo l'apocalisse è sempre più presente in questi ultimi anni, diventando quasi un genere. Qui si possono scambiare idee, condividere opinioni per fare in modo che l'apocalisse resti soltanto un modo di raccontare. Sullo sfondo dei problemi che attanagliano la vita di tutti i giorni, una raccolta di storie di genere post-apocalittico: le Cronache.

martedì 13 novembre 2012

Qual'è il piano B?




Il magazine Popular Science pubblica un interessante articolo, esso analizza i possibili piano per fermare il surriscaldamento globale. Non stiamo parlando di soluzioni, ma di un’ultima spiaggia, qualcosa a cui aggrapparsi al tramonto della nostra esistenza.
Se aumenta la quantità di anidride carbonica nell’aria, qual è il mezzo più ovvio per ristabilire il giusto equilibrio con l’ossigeno? Piantare più alberi.
Nel 2009 la NASA annunciò che si sarebbero dovuti piantare alberi per tutta l’estensione del Sahara e dell’Australia. In questo modo, annualmente si sarebbero potute assorbire ben 12 miliardi di tonnellate di CO2, cioè un terzo delle emissioni totali registrate nel 2010.
Ovviamente, imboschire un deserto comporta le sue conseguenze, perché ciò altererebbe l’equilibrio dell’intero pianeta. Ad esempio, la formazione di cicloni nell’area atlantica è tenuta sottocontrollo dal clima caldo del Sahara. Inutile parlare inoltre dei costi che comporterebbe il piantare miliardi di alberi e la dovuta irrigazione.
Un’altra soluzione proposta è quella di fertilizzare gli oceani con del ferro. Si è scoperto infatti che il ferro stimola la produzione di fitoplancton. Questi organismi riescono a creare la metà dell’ossigeno prodotto dall’intera flora mondiale. Tuttavia, qualsiasi sia il grado di fertilizzazione delle acque, non si riuscirebbe comunque ad abbassare l’anidride carbonica ad un livello significativo.
La terza soluzione, proposta nel 2008 dallo scienziato Rolf Schuttenhelm, è quella di costruire un’immensa diga lungo il Mare di Bering. Così facendo, si impedirebbe alle acque dell’Oceano Pacifico di fluire verso il polo nord, mantenendo bassa la temperatura delle acque e si ricongelerebbe la calotta artica, abbassando così la temperatura della terra.
L’ultima soluzione, proposta da un team di ricercatori britannici, si chiama “Pinatubo Option”.
Prendono ispirazione direttamente dal vulcano Pinatubo che, nel 1991, diffuse nell’atmosfera 20 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, abbassando la temperatura media della terra di circa mezzo grado nell’anno successivo.
L’idea di Pinatubo Option, è quella di innalzare enormi palloni aerostatici pieni di particelle di solfato, in modo da abbassare la temperatura. Il problema, è che il processo andrebbe ripetuto negli anni, in quanto il suo effetto è di breve durata. Una volta avviato, inoltre, non potrebbe essere più interrotto, perché le temperature si innalzerebbero velocemente, causando anche lo scioglimento del permafrost. Quest’ultimo è uno strato di terreno perennemente ghiacciato, una specie di copertura impermeabile dei terreni glaciali, come l’artico, l’Alaska o la Siberia. Sotto di esso è presente una grandissima quantità di gas metano, trenta volte più nocivo dell’anidride carbonica.
Non è difficile immaginare quindi il grave rischio a cui si andrebbe incontro, motivo per cui si può ammettere con franchezza che non ci sono ultimatum che la terra può concederci, non c’è un’estrema soluzione al surriscaldamento globale.
La cosa più sensata e ovvia che si potrebbe fare, è quello di assumersi qualche responsabilità e anzitutto cominciare a limitare dove possibile, perché imporre un limite è l’inizio di un cambiamento.

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